
Foto di Andrè
Quanto sei contestabile, Chiesa, eppure quanto ti amo!
Quanto mi hai fatto soffrire, eppure quanto a te devo!
Vorrei vederti distrutta, eppure ho bisogno della tua presenza.
Mi hai dato tanti scandali, eppure mi hai fatto capire la santità!
Nulla ho visto nel mondo di più oscurantista, più compromesso, più falso, e nulla ho toccato di più duro, di più generoso, di più bello.
Quante volte ho avuto la voglia di sbatterti in faccia la porta della mia anima, e quante volte ho pregato di poter morire tra le tue braccia sicure.
No, non posso liberarmi di te, perché sono te, pur non essendo completamente te.
E poi, dove andrei? A costruirne un'altra?
Ma non potrò costruirla se non con gli stessi difetti, perché sono i miei che porto dentro.
E se la costruirò sarà la Mia Chiesa, non più quella di Cristo.
Carlo Carretto
Ho qui davanti una matita, regalatami dagli amici del Movimento Giovanile Missionario. Riporta una famosa frase attribuita a madre Teresa di Calcutta: "io non sono che una piccola matita nelle mani di Dio".
Riconoscersi nelle mani di Dio è lasciarsi trasportare, è affidarsi. Sì! perché le nostre vie non sono le Sue vie, e i nostri disegni non sono i Suoi disegni. E allora non resta che diventare matite. Le nostre povere matite disegnano progetti, programmi e proposte, ma sono sempre matite nostre. Lo sforzo è proprio quello di lasciarsi "afferrare", per diminuire l'importanza delle nostre punte di grafite e aumentare quella di Dio. Dovremmo chiedere la grazia di lavorare per scomparire, diminuire noi per lasciare spazio all'Altro e al progetto di Dio. È tanto difficile, siamo ingordi di "io", ma è una tensione necessaria: una mano tesa verso l'alto, come uno sforzo, come una preghiera.